Tre Piani (sopra Tel Aviv)

Il 23 settembre è arrivato al cinema Tre Piani, l’ultimo film di Nanni Moretti, tratto dall’omonimo libro che Eshkol Nevo pubblicò nel 2015. La pellicola, che ha ricevuto ben 11 minuti di applausi al festival di Cannes, ci incuriosisce molto, partendo da una base già di per sé fantastica.





Sarà vero che il buongiorno si vede dal mattino? Lo speriamo sinceramente, ma in attesa di conferme, parliamo del libro.





A pochi kilometri da Tel Aviv, in un quartiere rispettabile e silenzioso, c’è una bella palazzina, dall’aspetto curato ed elegante, che, dietro le siepi ben tagliate, nasconde tre storie disastrose.





Ayelet e Arnon vivono al primo piano, sono una coppia spiritosa, dinamica, gentile e, soprattutto, equilibrata. Certo, da quando è arrivata Ofri le cose sono un po’ cambiate, ma si sa che con i figli serve sempre un primo periodo di assestamento. Fortunatamente, però, ci sono Ruth e Hermann, la dirimpettaia coppia di anziani proveniente dalla Germania, che si offrono volentieri di guardare la bambina quando i genitori ne hanno più bisogno. Soprattutto nell’ultimo periodo, da quando è arrivata anche Yaeli, il loro aiuto è stato fondamentale.





“Hermann è guasto” confida un giorno Ofri ai genitori, “Continua a dimenticarsi le cose”, “Vedrai che lo fa per scherzare tesoro, sarà un gioco che si è inventato da fare con te”. Ma Hermann non sta fingendo e gli episodi che allarmano la bambina non sono altro che i segni di un principio di Alzheimer; purtroppo per la famiglia, però, Ayelet e Arnon se ne accorgeranno troppo tardi. Si innesca così un complicato meccanismo che porterà il papà quasi alla follia, mosso da quell’amore incondizionato che si può avere solo nei confronti di un figlio.





Salendo qualche rampa di scale c’è Hani, madre di due bambini e moglie di un marito praticamente assente, sempre in viaggio per lavoro. Con il passare del tempo Hani viene divorata dalla solitudine, dalla propria mente e dalle orribili sensazioni che le dà quel fastidiosissimo barbagianni poggiato sul davanzale della finestra, che pretende di dirle cosa deve fare. Nella bolla in cui vive si intrufola, senza avvisare, Eviatar, cognato della donna, in cattivissimi rapporti con il fratello e nei guai con il lavoro. Improvvisamente Hani non è più sola, per un po’ può finalmente parlare con qualcuno, sentirsi capita, desiderata, sentirsi una persona vera e propria. Ma tutto questo non fa che ricordarle quanto la vita che conduce con suo marito la renda infelice e che questo briciolo di felicità che sta provando non sia destinato a durare.





Dvora è un giudice in pensione che ha da poco perso il marito, con cui viveva al terzo piano della palazzina da più di 25 anni. È una donna seria, rispettabile, indipendente, che sa sempre quale sia la scelta giusta da prendere. O almeno così la vedono gli altri.





Dvora è riuscita in moltissime cose, ha condotto una vita perfetta, con un bel lavoro, una bella casa, un bel marito, ma ha fallito come madre e questo la tormenta.





Da quando Micheal è morto, poi, ha deciso di sperimentare nuove cose, di fare tutto ciò di cui in passato si era privata, temendo che potesse inficiare in qualche modo la propria immagine. Invece la partecipazione ad una manifestazione a Tel Aviv la fa rinascere, facendole conoscere Avner Ashdot. Però tutto questo non ha lo stesso sapore senza il suo grande amore, sente il bisogno di condividere questa nuova vita con il marito e lo fa attraverso una segreteria telefonica, dove è ancora registrata la sua voce e a cui racconta tutte le sue esperienze.





Tre Piani è un romanzo coinvolgente, intenso. Sapientemente scritto (e tradotto) in modo da tenere sempre alta l’attenzione del lettore, che viene stimolato attraverso tre diverse tecniche di narrazione, plasmate sulla storia e sul personaggio da raccontare. Io sono stata letteralmente rapita dalle sue pagine, che mi hanno  travolta con un turbine di emozioni contrastanti.









Non so se il film renderà giustizia a tutto questo, in qualunque caso vi invito a leggerlo, perché, se è vero che non bisogna giudicare un libro dalla sua copertina, è sicuramente  vero che non bisogna giudicarlo dal film che se ne ricava.



Moondo
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