Fuoco incrociato sul coprifuoco

Messi in evidente crisi da un Presidente del Consiglio capace e non classificabile e che, per di più, ha la sconcertante abitudine di entrare, con competenza,  nel merito delle questioni importanti,  i due maggiori partiti hanno finalmente trovato un tema su cui farsi sentire, evidenziando al paese le loro differenze e quindi le loro ragion d’essere.





Si tratta della variazione di un’ora dell’orario di coprifuoco.





Il contesto, fortunatamente, è quello di un sostanziale buon esito, fino ad ora,  della strategia Draghi di concentrazione delle vaccinazioni sulla popolazione con maggiori rischi di salute. Strategia che ha portato in 20 giorni, dal 6 a al 26 aprile, la variabile cruciale del numero dei ricoverati in ospedale a scendere da 33.080 a 23.524, con una riduzione del -28,9% molto più ampia di quella osservabile nello stesso periodo per lo stock degli infetti meno gravi (trattati in isolamento domiciliare) scesi del -16,3%.





In questo scenario di buon andamento e conseguente avvio delle riaperture è abbastanza  legittimo che  le singole forze politiche si facciano portatrici delle istanze dei settori sociali dove raccolgono, o pensano di raccogliere, i maggiori consensi. La politica democratica consiste appunto nel trovare compromessi tra chi rappresenta interessi ed opinioni diverse.





Una certa dose di dialettica sulle singole misure  è quindi fisiologica, anche nel caso di una misura di per sé non esattamente cruciale come la definizione dell’orario di coprifuoco, finalizzata essenzialmente a impedire prolungati assembramenti dei più giovani.





La  sua trasformazione in epocale battaglia di principi è invece francamente fuori luogo: proporre di spostare l’orario alle 23 non rappresenta una manifestazione di capitalistico disprezzo della salute pubblica così come volerlo mantenere alle 22  non esprime  la socialistica volontà di mortificare l’impresa privata. Tanto più che, per aggiungere un tocco di incongruenza, ritroviamo a difendere la posizione “rigorista” coloro che si sono battuti strenuamente per la riapertura di cinema e teatri e a sostenere la linea “aperturista” coloro che hanno sollevato le maggiori perplessità sul riavvio della didattica in presenza delle scuole secondarie superiori.





Considerando i 30.000 ricoverati come soglia di criticità grave per le strutture ospedaliere e ricordando il fatto che a febbraio la recrudescenza dovuta alle varianti aveva determinato un aumento del numero degli ospedalizzati da 20.000 a 30.000 unità in tre settimane (cioè il tempo necessario per assumere e osservare gli effetti di più drastiche misure di contenimento) avrei auspicato di attendere di essere sotto la soglia dei 20.000 ricoverati per procedere ad avviare le riaperture.





Ma sono fiducioso che chi di dovere disponga di informazioni e strumenti di analisi superiori ai miei e che si tratti effettivamente di un “rischio calcolato” che si è potuto correre perché la diffusione dell’epidemia tra i soggetti più a rischio sta scendendo rapidamente e perché una certa quota di infezioni asintomatiche o paucisintomatiche sono un prezzo accettabile da pagare per la ripresa delle attività.





In questa logica, comunque, un qualche significativo intervento di rafforzamento della sicurezza dei trasporti pubblici mi sembrerebbe assai più importante per la tutela della salute che un’ora in meno di apertura dei ristoranti.






Moondo
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