ArtETur assegna 3 premi a due film diretti da Aldo Di Russo

Arte&Tour è una realtà che da 13 anni propone, e in fondo basta leggerne il marchio, Audiovisivi legati al mondo del turismo in un senso che di anno in anno si fa sempre più largo. Tour nel senso di quello che si vede andando in giro, Tour nel senso di quello che in giro si trova per configurare la cultura del posto.





L’inventore di tutto questo, instancabile docente e firma di Moondo è Francisco Diaz che da anni è una autorità in Europa.





Quando una giuria composta da 31 persone tutte scelte tra registi, critici e docenti nel campo degli audiovisivi in rappresentanza di venti paesi diversi prende una decisione la trasparenza è assicurata, poi tutti possono sbagliare, ciascuno continuerà ad avere la sua opinione, ma su queste pagine abbiamo sempre detto che i pareri qualificati sono una garanzia. Per questo la prima cosa che ci piace è che ci abbiano messo la loro faccia, se siete curiosi potrete vederle tutte visitando la sezione del sito Art&Tur dedicato alla giuria.





I due film di cui parliamo hanno portato a casa tre premi prestigiosi all’interno del festival: Primo premio nella categoria Biography per Il Sogno Autunnale, primo premio nella categoria Art, Music and Culture per ‘O Principino che ha vinto anche il secondo premio nella categoria Heritage.





Le due opere furono concepite, in una versione leggermente diversa, per la mostra “Napoli, 100 anni di musica ininterrotta”, voluta dalla Regione Campania e organizzata da Scabec per celebrare i 100 anni di vita della Associazione Scarlatti, e la sua fondatrice Emilia Gubitosi. Il racconto di questa mostra è già stato pubblicato su queste pagine a firma del suo autore.





La mostra rappresentava davvero una ricerca ben riuscita nel mondo digitale non fosse altro che perché era priva di ogni tentazione di rendere eterodiretta la visita. Pannelli esplicativi con le intenzioni degli autori, guide preconfezionate che inducono l’interpretazione di un percorso appartengono ad un mondo che l’ambiente digitale sta scardinando. Le relazioni tra gli oggetti esposti, misteriose all’inizio, diventano sempre più il frutto della grammatica della fantasia degli autori e il visitatore incontra i due film di cui vi sto parlando in due ambienti ricostruiti per accogliere un prodotto della fantasia. Il coperchio del clavicembalo all’interno del quale il principino si racconta è uno schermo sconvolgente al punto giusto per una storia fatta di mondi irreali e immaginari. Il Principino è un bambino che Emilia Gubitosi sente cantare in una chiesa di Capri, le intuisce il talento e, con il permesso dei genitori, lo porta a Napoli per iniziarlo alla musica. Tutto il film è centrato sullo stato d’animo del Principino, interpretato magistralmente da Massimo Foschi che ricorda la sua infanzia, che arriva allo spettatore attraverso una Napoli inesistente, immaginata, ricostruita attraverso centinaia di frammenti estratti dagli acquerelli, dalle illustrazioni, dalle fotografie dell’epoca. Un collage animato all’interno del quale in bambino, per la prima volta in città, mostra le sue apprensioni, le sue paure, tutto il suo stupore. Quello stesso stupore che secondo Aristotele guida verso la conoscenza. Ho cercato di sapere dal regista del film chi fosse in realtà il principino, e la risposta è stata che non esiste nella realtà, ma che esiste come archetipo dell’impegno e della forza che può fornire un maestro per dare corpo al talento che, come volevano i greci, una volta espresso porta alla felicità. Una morale come quella di qualunque favola, ma diffusa all’interno della storia e non espressa alla fine proprio per essere stimolo al pensiero individuale e non lezione.





Una nota a parte riguarda la fotografia de “‘O Principino”.  “La scena è ricavata utilizzando acquerelli e illustrazioni di fine ‘800 – ci dice il regista Aldo di Russo - poi abbiamo filmato attori e realizzato la composizione animata fino ad un risultato per noi quasi finale. Il direttore della fotografia, Antonio Grambone, a quel punto ha estratto dalle illustrazioni la tavolozza dei colori imponendola, attraverso un lavoro di correzione, ad ogni scena del film rendendo la chiave interpretativa più fluida e comprensibile, senza dover imporre o indurre interpretazioni eterodirette dal testo. Il lavoro, sempre per la curiosità dei non addetti ai lavori ha richiesto circa una settimana. Guardare l’immagine prima e dopo per noi è stata una vittoria ed una soddisfazione immensa, perchè in questo lavoro sono solo i dettagli che fanno la differenza.





Il secondo film, Il sogno Autunnale racconta la sfida che l’Associazione Scarlatti ha sostenuto. Emilia (Chiara Condrò) torna dopo 100 anni a controllare, con il suo carattere puntiglioso e perfezionista, cosa stanno facendo i suoi successori (Nello Mascia e Marcella Vitiello) per organizzare la mostra che la celebrerà a Napoli. Sarà la curiosità di una bambina (la piccola Ludovica per la prima volta sullo schermo) e le sue domande impertinenti a consentirle di chiarire gioie e dolori di quel percorso. Mentre si parla di musica, in realtà si chiarisce come l’organizzazione della cultura sia il collante sociale intorno al quale costruire la civiltà di un territorio. Donna Emilia, suo marito, la generazione di cui si parla c’è riuscita sostanzialmente perché ha potuto proseguire sulla strada che riteneva giusta senza mai chiedersi cosa fosse gradito ai più. Solo ciò che riteneva giusto è stato consentito, a conferma che l’arte non potrà mai basarsi sui gusti del pubblico, ma solo sull’offerta degli artisti. Quando il mercato contava poco questo si poteva fare, se alla qualità si sostituiscono i numeri molte distorsioni appaiono. Anche questo film utilizza mondi fantastici e immaginari, dalla villa di Posillipo, inesistente nella realtà, ma disegnata come archetipo di abitazione patrizia dei primi del ‘900, al parco immaginario dove crescono cespugli di note musicali fino al cielo con un tappeto di nuvole dove i poveri abitanti della terra fanno estrema fatica a camminare e dove solo Donna Emilia si trova a suo agio, tutte le scenografie sono irreali per consentire al dialogo di diventare vero fuori dai limiti della realtà.





Una nota interessante va fatta sui costumi che Giuseppe Avallone. “Si trattava di configurare il personaggio Emilia che torna a Napoli dal passato, dal 1919 – ci dice Aldo di Russo - avevamo un’unica fotografia, e contemporaneamente il suo essere aperta e risoluta verso le proprie convinzioni, lei che le convenzioni le aveva rotte riuscendo ad iscriversi al corso di composizione a cui nessuna donna aveva avuto accesso. Sono sempre i grandi maestri che nella vita trovano una soluzione, Giuseppe avallone aveva tra le mani uno studio fatto dal grade Piero Tosi di cui è stato assistente fino all’ultimo giorno, nel quale si identificava, proprio nel 1919 avvenne una presa di coscienza delle donne della alta borghesia e la rivendicazione di un ruolo diverso nella società. L’anno prima, in Inghilterra, le donne avevano avuto il diritto di votare, e questo non poteva essere sfuggito alle artiste napoletane. Nello studio di Tosi il taglio dei capelli era diventato il segno di quella richiesta, il distintivo, insieme alla sigaretta che comincia ad apparire nelle foto della nostra ricerca. Giuseppe, che aveva partecipato a quello studio ha disegnato la pettinatura di Emilia che è stata poi messa in opera da Stefano Rocchetti. A volte ai non addetti ai lavori sfuggono questi particolari: tempo, studio e ricerche per un particolare che mette l’attore in condizioni migliori per essere quel personaggio”.





Una notazione importante da fare è sulle tecnologie impiegate in fase di costruzione. Per omogeneizzare le riprese degli attori in teatro di posa con le ricostruzioni degli ambienti in computer grafica sono state adottati processi di motion tracking molto sofisticati per riportare il movimento della macchina da presa reale ad essere identico a quello della macchina da presa virtuale che filmava le scene. Un ottimo esempio di tecnologia che non si vede, utilizzata come strumento per dare al racconto la giusta visione come conseguenza della strategia. Una favola moderna, un ambiente digitale, un’opera che speriamo di non perdere.





Regia Aldo Di Russo
Scenografia Nicola Rubertelli
Sceneggiatura Letizia Compatangelo
Direttore della fotografia Antonio Grambone
Effetti speciali
Luigi Nappa
Alessio Pericò
Mauro Scaramella
Casa di produzione Cine3
Colonna sonora a cura di Tommaso Rossi
Costumi Giuseppe Avallone
Prodotto da Scabec per la Regione Campania





P.S.
Aldo Di Russo è un regista che ci ha abituato ai premi, ma questa volta ha superato se stesso: 3 premi per 2 film. Anche per questo ci meraviglia che il percorso espositivo a Napoli non sia accessibile! Certamente la ragione sarà quella della diffusione della pandemia, ma forse dipende anche dal fatto che quando la cultura diventa una pratica amministrativa e non un percorso di conoscenza si preferisce seguire l’iter burocratico e si archivia in un magazzino come si fa per le “pratiche” ormai chiuse. Con il rischio che in quel faldone finisca anche qualche paga delle maestranze che non è stata pagata. Ma Scabec ha un management colto e competente che, dopo questo riconoscimento, saprà certamente trovare il modo di valorizzare il suo prodotto. Per quanto ci riguarda diamo a Cesare quel che è di Cesare: Aldo di Russo è un autorevole operatore culturale oltre che un regista multimediale che merita i riconoscimenti che le sue opere hanno sul mercato internazionale per cui lo aspettiamo al ritorno da Lisbona perché racconti a noi, e ai nostri lettori, la sua avventura creativa e la cronaca di questo ultimo successo portoghese.



Moondo
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