La scuola ha una missione: emozionare

In quanto docente sono convinta di svolgere il lavoro più bello e più importante al mondo, quello di poter contribuire, pur con le mie debolezze e i miei limiti, alla formazione delle generazioni future a cui è affidata la costruzione di un mondo migliore. Il trascorso anno scolastico, che in realtà sembra non essere mai terminato ma rimasto come sospeso in un tempo indefinito, mi ha vista alle prese con la moderna tecnologia per svolgere la Didattica a distanza. Abituata alla pagina del libro, al suo “tocco“, al suo “sapore” non avevo compreso fino in fondo le potenzialità dei mezzi informatici. Per la prima volta ho dovuto fare i conti seriamente con i loro vantaggi ma anche con i loro limiti e con il dominio assoluto che hanno nella vita dei giovani. Ho compreso che la sfida della scuola del futuro è nella loro corretta gestione.





Non c'è alcun dubbio che il degrado morale e, quindi, culturale in cui siamo precipitati è determinato anche da una scuola spesso incapace e\o impossibilitata a svolgere la sua funzione educativa all'interno di questo boomerang tecnologico. Essa rischia di perdere molto della sua centralità, del suo ruolo trainante nella formazione delle nuove generazioni stordite e disorientate da un policentrismo informativo che le priva della serietà della concentrazione e della riflessione e che, inevitabilmente, implode nella semplicità di superficie di una vita che ha perso il senso della responsabilità dell'ESSERCI.





La figura stessa del docente, come guida nella formazione, sta smarrendo il suo ruolo centrale, sempre più spesso sequestrato da strumenti tecnologici, da computer, Lim, registri digitali, da macchine di ogni tipo. Senza nulla togliere alla loro innegabile utilità ritengo però che la scuola abbia l’obbligo morale di frenare la deriva a cui la tecnologia può portare rimodellando il loro utilizzo e recuperando il valore del pensiero e dell’ intelligenza emotiva. I mezzi telematici accanto a tanti vantaggi hanno il demerito di allontanare i giovani dalla percezione del reale in quanto nulla essi hanno a che fare con i sentimenti, con tutto ciò che è vita e che va vissuto, gestito,compreso; velocissimi nella gestione delle informazioni disabituano alla concentrazione, ai tempi lunghi di riflessione, all'indagine perseverante, all'attenzione, sono nemici delle insoddisfazioni interiori e promuovono un pensiero fragile, vagabondo, errante ed inquieto.





Sullo sfondo di questo scenario il reale diventa virtuale e viceversa e nessuna differenza si traccia tra razionalità e istintività, tra un bullo incapace di pensare e un giovane riflessivo, tra corteggiare una ragazza o stuprarla, tra un social network e una "social catena" di leopardiana memoria, tra una società arrabbiata, impaurita, intollerante, chiusa e reazionaria e una società solidale, compassionevole, inclusiva ,aperta alle diversità e disponibile al dialogo costruttivo, da sempre alla base di consorzi umani, grandi e illuminati.





Il danno maggiore di tutto questo è quello di disabituare all'emozione, di sottovalutare il contatto umano; ad esso si è sostituito uno schermo, una sorta di sipario tra la vita autentica e quella fasulla e a-patica. La colpa della scuola, se di colpa si deve parlare, è stata quella di non saper ben gestire questo tsumani, lasciandosi travolgere dalla modernità tecnologica che, sicuramente, non andava nè va respinta ma gestita meglio per essere funzionale alla formazione dell'uomo oltre che del tecnico esperto. Essa non sempre è stata in grado di porsi come testimonial della differenza tra intelligenza prometea e quella emotiva per integrarle e gestirle.





La paidea, l'episteme socratico si realizzava attraverso il dialogo della maieutica, attraverso emozioni condivise per formare talenti del pensiero, la tecnologia moderna riduce e annulla tutto questo, inaridisce i cuori, meccanicizza la mente e disumanizza il pensiero, diventa modello di efficienza da imitare a tutti i costi perché ciò che conta è il successo che, in questa prospettiva è quello dei più forti, dei più efficienti, appunto, che non è detto siano i migliori in una scala di valori che ponga in primis la dignità di un’azione giusta e improntata al bene collettivo. È come studiare cosa sia una linea retta ignorando il significato di rettitudine. La scuola, invece, dovrebbe cogliere questa problematicità e proporsi come alternativa alla deriva disumanizzante del nostro tempo.





Dovrebbe recuperare i valori dell'humanitas e rivalutare l’impegno riflessivo non per contrapporsi alla tecnologia del nostro tempo ma per affiancarla e guidarla, per trasformare gli inevitabili insuccessi in opportunità di crescita e non in colpe che stigmatizzano perdenti irrecuperabili e inutili. Il problema non è se utilizzare o meno internet ma come utilizzarlo al meglio in modo da garantire la formazione di cervelli autonomi e quindi liberi ma soprattutto “patici”. Dovrebbe, insomma, recuperare quel verso dantesco: "fatti non foste a viver come bruti ma per seguire virtute e canoscenza" per ridare valore all'uomo e alla virtù oltre che alla conoscenza in quanto la deflagrazione del momento riflessivo, distrugge l'anima e narcotizza la mente. Quella che stiamo vivendo, difatti, è una crisi culturale, prima che economica ,senza precedenti: è la crisi del pensiero.





La scuola dovrebbe opporsi con coraggio al disastro contemporaneo proponendo un'alternativa seria e porsi come fornace di cervelli attivi, riflessivi, autonomi, rispettosi del bello e innamorati del bene secondo l'insegnamento platonico. La scuola, invece, oggi si è trasformata in un'industria di competenze e ha dimenticato di formare PERSONE , ha sostituito il valore del linguaggio come espressione del pensiero con un collage di parole facilmente digitalizzate.





Prometeo preferì la tecnica allo spirito divino, i Greci lo incatenarono, noi lo abbiamo liberato, giustamente, ma lo abbiamo sostituito al valore dell'interiorità decretando la fine dell'umanità come consorzio di uomini legati tra loro da un reciproco conforto.



Moondo
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