Mangiare da professionisti ovvero il foodismo

Steven Poole giornalista inglese della prestigiosa testata The Guardian, ha scritto un articolo molto interessante, portato a conoscenza dei lettori italiani da un settimanale altrettanto prestigioso Internazionale con il titolo la dittatura delle polpette, sul tema della nuova religione laica del mangiare bene. L’articolo fa conoscere tutti gli aspetti meno conosciuti della gastronomia globalizzata e la ricchezza del linguaggio adottato nel mondo per parlare di cibo e di cucina.





Il foodismo





I foodies (food in inglese sta per cibo) sono le persone interessate al cibo e foodista gli adepti del foodismo ovvero un modo di “vedere il mondo attraverso le lenti unte di grasso del mangiatore militante”. Davide Paolini editorialista del Il Sole 24ore ha coniato e introdotto in Italia il termine gastronauta con il quale titola una rubrica sulla carta stampata e radiofonica sul canale dello stesso editore. È una definizione in verità molto efficace per indicare i cercatori “raffinati” del buon cibo in viaggio lungo tutto lo stivale d’Italia, ma non ha lo stesso significato di foodista che vuole indicare spietatamente chi è un “attivista del mangiare bene” come esercitare una professione o una militanza. Il foodista conosce tutte le bibbie gastronomiche e considera la gastronomia un’arte alla pari della pittura e del teatro arte culinaria che ha trovato il suo vangelo in un trattato pubblicato in inglese in sei volumi dall’inquietante titolo “modernist cousine”.





foodismo
unsplash.com

Alain Robbe-Grillet, famoso scrittore e regista francese ha
raccontato di una brillante conversazione avuta con Roland Barthes saggista e
antropologo dell’alimentazione che avrebbe spiegato come, secondo lui, “alla
gente piace consumare il menu che non è solo una poesia concreta ma anche un’allettante
promessa di soddisfazione dei sensi”.





Così sono venuto a conoscenza della originalissima idea di
offrire ai foodisti un menu commestibile. Per evitare di diventare gastromaniaci
nichilisti Steven Poole suggerisce di preoccuparsi di più e meglio di cosa
mettiamo in testa piuttosto di quello che mettiamo in bocca un suggerimento del
quale far tesoro in questo momento di grave difficoltà finanziaria per tutti
gli italiani.





Il foodista è un goloso peccaminoso? La ricerca e la pratica
della gastronomia eccellente non è necessariamente un peccato ma un impegno
dell’intelletto.





Per diventare foodisti bisogna sapere godere del gusto dei cibi
che richiede maturità e educazione, il bambino nasce e vive i suoi primi anni
senza consapevolezza del gusto si è confrontato con cibi dal gusto elementare
come il dolce, il latte, le pappe, le creme. Se gli proponi cibo nuovo
istintivamente lo rifiuta per cui mamma e papà devono esercitare tutta la
propria abilità per induro ad assaggiare. Tutti noi da piccoli abbiamo avuto i
nostri rifiuti per cibi che da grandi sono stati scelti come i più graditi. Personalmente
odiavo il carciofo e il baccalà. Il venerdì era il giorno del digiuno cattolico
ovvero niente carne solo pesce. Questo digiuno per mio padre era una festa perché
adorava il baccalà. Così ho cominciato a rendermi conto di certe ipocrisie e
contraddizioni che caratterizzavano i comportamenti tesi a conciliare la
religione con il buon senso. Oggi il mio piatto preferito è il baccalà cotto al
forno su letto di carciofi. Il foodista ha in bocca uno strumento raffinato,
dotato di sensori estremamente precisi per poter apprezzare il gusto del cibo, ed
è capace di inviare alla memoria tutte le percezioni che lo hanno informato
circa i mezzi di cottura, i condimenti impiegati, le combinazioni migliori per
il confronto tra un cibo e l’altro così come avviene per la scelta del vino per
cui ad ogni piatto si associa quel vino bianco o rosso.





Ma allora se pur essendo un goloso foodista non è peccaminoso
quando la ricerca del mangiar bene diventa difetto? Così come avviene per il
sesso se interviene la obbligatorietà il foodista non è più un ricercatore, un cultore
del buon gusto ma un maniaco, schiavo perché gode solo delle cose che gli vengono
proposto in quel modo, ovvero un bambino viziato. Non solo obbliga se stesso ma
induce gli altri come fa l’etilista o il tossicodipendente. Il goloso di questo
tipo commette un peccato contro sé stesso piuttosto che contro Dio, subendone
le conseguenze che lo porteranno alla rinuncia perché sarà diventato obeso,
diabetico e quant’altro. Il modello della corretta gestione della gola sembra
essere impersonato dalla famosa Parodi che sta tutto il giorno davanti ai
fornelli esponendo il naso e il cervello ai cibi che lei stessa prepara e
malgrado questo eccezionale rapporto fisico con il cibo è magra, anzi
magrissima tanto da far pensare che applichi qualche accorgimento per mantenere
quella linea grissino. Il vomito? Le purghe? La ginnastica? Io non credo. Penso
che la Parodi sappia esercitare un controllo così attento del desiderio che le
permette di assaggiare, assaggiare ma non mangiare. Questo controllo le dà quel
senso di onnipotenza ovvero il dinamismo e la vivacità con la quale lavora
davanti alle telecamere senza mai dare segni di stanchezza. Allora che
differenza c’è con l’anoressia? Anche in questo caso c’è controllo esasperato
del desiderio ma unito al divieto autoimposto, la repressione del desiderio
come e un pittore o un musicista potesse negarsi l’ispirazione. La Parodi è una
professionista dell’assaggio. Del resto non è la sola perché vediamo in
televisione tanti cuochi che sono prevalentemente magri. Specie i giovani. Se ci
fate caso i cuochi grassi sono spesso persone d’età perché vengono da una
cultura del cibo e da tradizioni ed esperienze che oggi non valgono più. Credo che
oggi siano passati a miglior vita quelli che durante la guerra hanno sofferto
la fame e che per lunghi anni dopo la fine della guerra sono andati a letto la
sera mettendo il pane sotto al cuscino. I miei amici ed io stesso non abbiamo sofferto
la fame ma la difficoltà di acquistare il cibo. I nostri genitori durante gli
anni di guerra facevano i salti mortali per trovare da mangiare. La mamma di un
mio carissimo amico, una famiglia importante di Roma, durante la guerra aveva
qualche gallina in campagna e usava le uova come moneta di scambio per avere il
latte o il formaggio o le sigarette! Quattro uova un pacchetto di sigarette o
un pezzo di formaggio! Subito dopo l’arrivo degl americani fu più facile vedere
le vetrine che esponevano il cibo. Nel 1945-46 con la mia ragazza ci fermavano
davanti alla vetrina del macellaio o del pasticcere per ammirare il filetto, le
lombate, il fegato, il bignè o le torte di cioccolato, con l’acquolina in
bocca.





Tornando al tema della gastronomia qualcuno potrebbe
chiedersi se il foodismo abbia un costo riservato alle classi benestanti. Se ci
riferiamo a ristoranti che offrono un menù speciale il costo è sicuramente
elevato e anche a media borghesia deve essere cauta nella scelta di un
ristornate che ti faccia pagare un pasto 70-100 euro. Altro discorso è quello
della cucina casalinga. La gastronomia che fa riferimento alle riviste o ai
programmi televisivi richiede tempo, un tempo che le casalinghe che sono mamme,
impiegate, in carriera non possono trovare. Tuttavia la differenza del costo di
un piatto di spaghetti alla carbonara e quello al pomodoro e basilico è lo stesso.
Il primo bisogna saperlo cucinare e anche nei ristoranti qualificati puoi rimanere
deluso, mentre il secondo che richiede semplicemente condire degli spaghetti
con la polpa di pomodoro in una scatolettta con un po’ di olio e basilico è
difficile che non sia buono e gustoso. Lo stesso discorso vale per l’orata al
cartoccio e un quarto di pollo. La prima richiede solo la determinazione e
saper usare il forno, mentre il pollo arrosto cotto in casa o acquistato in
rosticceria ha più o meno lo stesso sapore. Il pesce al cartoccio con pochi
aromi e ben cotto può dare qualche soddisfazione in più ovvero nutrire l’anima
oltre che il corpo.





Come sfuggire al foodismo? Enrico Sturani, noto come il più importante
collezionista di cartoline, è un sigle in servizio permanente effettivo da
molti anni ovvero, lava, stira, cucina, sgombra poco, colleziona cartoline
catalogandole per temi, un’impresa che richiederebbe la competenza e l’efficienza
di uno staff preparato e specializzato. Lui non si perde d’animo e ha
dimostrato più volte di essere all’altezza delle esigenze proposte da musei e
mostre d’arte. Invita spesso amici a cena non superando mai il numero 7 a
tavola. È ambizioso e giustamente pretende di offrire agli ospiti un piatto ben
preparato che soddisfi l’esigenza prioritaria di essere originale ed anche
irripetibile, così che non possa accadere che invitato a cena dagli amici o
amiche si veda rifilato il piatto che lui ha offerto a casa sua. Poi sfugge elegantemente
al giudizio delle competenti. Quali sono i piatti da foodista di Sturani? Due
sono memorabili e difficilmente ripetibili almeno per ottenere la stessa
qualità.





Il primo molto gustoso è il Bors’ una pietanza di cultura russa,
una soupe di barbabietole, cipolle, fagioli, patate, carne lessata, arricchito di
carote, sedani e peperoncino. Il colore intenso delle barbabietole rende
incomprensibile il vero contenuto della soupe che può contenere tutto e il
contrario di tutto. Così Sturani sfugge alla gara di bravura delle signore che
sanno cucinare offrendo un piatto originale incomprensibile che nessuna intende
preparare a casa propria. Quando sono stato a Mosca ho assaggiato il Bors’
delle trattorie, una banalità rispetto a quello cucinato da Sturani. Ho trovato
anche il Bors’ in bustine Knorr.





L’altro piatto è l’anatra arrosto riempita di castagne
lesse. Un piatto unico eccezionale, buonissimo e non di facile preparazione.





Sturani è tutto dedito alle cartoline, a pubblicare libri per cui la cucina è l’unica distrazione ludica. Tutto sommato il foodismo di Sturani non è diverso da quello che coltivano le nostre signore o i nostri amici appassionati di cucina. È un foodismo domestico che si è sviluppato nella cerchia dei nostri amici senza particolari esibizionismi e senza toccare punte di qualità e di eccellenza particolari. Primi piatti e pietanze preparate con cura e sobrietà e nelle nostre case genitoriali. Vogliamo fare degli esempi? La trancia di pesce spada alta 10 centimetri farcita di aromi cotta su un letto di pomodorini sepolta da altri pomodorini coperti da una pioggia di pangrattato casereccio (Copyright Laura Albanese), oppure una pasta e fagioli con le coupolles di pasta frolla colme di gamberetti e altri ancora (Copyright Sibilla Dohm).





Leggi anche:






Moondo
https://moondo.info/mangiare-da-professionisti-ovvero-il-foodismo/?utm_source=Blogger

Commenti

Post popolari in questo blog

Letture estive: “Io sono il Potere”, ovvero il cinismo rarefatto

Riserva Naturale Lago di Posta Fibreno: un’oasi verde al confine tra Lazio, Molise e Abbruzzo!

La casa di Magnum P.I. verrà demolita segnando la fine di un'era