E' possibile curare una patologia senza far sentire la persona pienamente guarita?

Sono un chirurgo senologo, mi occupo di tumori del seno da molti anni presso la Fondazione Policlinico Gemelli di Roma e penso che il confronto e la contaminazione dei saperi sia una straordinaria opportunità in un campo così cruciale come la medicina. Per questo, ho accettato con entusiasmo la proposta ricevuta dall’Associazione Pandolea di scrivere della nostra esperienza su una rivista che si occupa anche di alimentazione.





Il tumore del seno è tuttora un problema di enorme rilevanza sociale, che colpisce ogni anno oltre 50.000 donne italiane; per fortuna è anche tra i più curabili, se diagnosticato in tempo e trattato presso centri di cura ad elevata specializzazione.





Negli ultimi decenni, siamo sempre più in grado di fornire alle pazienti che si affidano alle nostre cure trattamenti mirati, meno invasivi e con percentuali di successo che non erano immaginabili fino a pochi anni addietro.





vegetarianismo

Se però l’avanzamento delle tecniche diagnostiche, l’affinamento dei metodi di cura ed una maggiore sensibilizzazione sociale al problema hanno agevolato questi risultati ed il miglioramento dei dati sulla mortalità, minori sono stati i progressi nel campo della prevenzione primaria. Lo conferma il progressivo aumento di incidenza di questa malattia nella popolazione generale, a fronte dei cospicui investimenti in questo campo. Dati ormai solidi confermano che almeno un terzo dei tumori del seno dipende da comportamenti errati, in particolar modo da sedentarietà, abuso alcolico ed alimentazione sbilanciata.





Sfortunatamente, la formazione accademica della classe medica sulle numerose evidenze dell’impatto degli stili di vita sui rischi di patologie croniche degenerative, responsabili della maggior parte delle invalidità e decessi in età media-avanzata (in particolare, malattie cardiovascolari, tumori e diabete) rimane del tutto inadeguata a fronteggiare questa calamità sociale. In altri termini, siamo sempre più bravi a porre rimedi a comportamenti sbagliati, piuttosto che a prevenirli e correggerli prima che producano un danno irreversibile (e talvolta fatale).





Nella mia esperienza clinica, ho avuto modo di avvertire questa “frustrazione”, ovvero di curare una patologia senza far sentire la donna pienamente guarita (anche quando la malattia effettivamente regredisce), ma anche di non proporre in maniera efficace un cambiamento durevole e consapevole nei suoi comportamenti, utile da un lato a prevenire le ricadute, dall’altro a dare un senso all’esperienza traumatica di malattia ed alla sofferenza che essa inevitabilmente comporta.





Per cercare di dare risposte più concrete a questa esigenza, mi sono imbattuto quasi casualmente in studi di medicina cinese e di agopuntura, che mi hanno fatto conoscere ed apprezzare una visione diversa della salute e della malattia, assolutamente complementare con la nostra e di profondo arricchimento. Nella visione cinese, la salute dipende da un equilibrio armonico di esigenze e forze diverse, che concorrono a realizzare il progetto di vita di ciascuno, scritto nel patrimonio ereditato dai propri cari.





Con il supporto della Susan Komen Italia, la principale non profit impegnata nella prevenzione e nel miglioramento della qualità di vita e di cura delle donne con tumore del seno, abbiamo avviato nel 2014, presso il Policlinico Gemelli di Roma, un progetto di terapie integrate in senologia, che affiancassero le terapie oncologiche standard con consulenze sugli stili di vita e trattamenti complementari scientificamente validati all’interno della stessa struttura di cura.





Dopo cinque anni di crescita e di esperienza clinica acquisita sul campo, lo scorso ottobre 2019, abbiamo inaugurato il nuovo Center for Integrative Oncology, presso il Polo della Salute della Donna al Gemelli, in cui sono fornite gratuitamente prestazioni di agopuntura, qigong, riflessologia, fitoterapia, mindfulness, laboratori di arte-terapia, musicoterapia e scrittura per pazienti oncologiche.





Alla base dell’integrazione delle cure, rimane la consulenza sugli stili di vita, ed in particolare sull’alimentazione delle donne durante ed al termine dei percorsi terapeutici. Ma quali sono le attuali raccomandazioni maggiormente condivise dalla Letteratura scientifica in tema di prevenzione oncologica, in particolare nel tumore del seno?





Occorre precisare che, più che concentrarci sul potere curativo o preventivo di singoli alimenti, oggi sembra prevalere un atteggiamento più olistico che considera lo studio dei pattern alimentari, ovvero della combinazione degli alimenti all’interno dei pasti, della qualità ed origine degli stessi, delle modalità di consumo (inclusa la convivialità) e di questi fattori in una cornice più ampia che non può prescindere dalle abitudini complessive del soggetto. In breve, dai suoi stili di vita.





Se poi consideriamo nello specifico le raccomandazioni più recenti del World Cancer Research Fund, esse possono essere sintetizzate in un’alimentazione variegata e bilanciata, prevalentemente, ma non esclusivamente, di origine vegetale ed integrale (ricca in fibre). In altri termini, la nostra dieta mediterranea, dichiarata patrimonio immateriale dell’UNESCO, e nella cui trasmissione delle conoscenze “le donne giocano un ruolo fondamentale”. (http://www.unesco.it/it/PatrimonioImmateriale/Detail/384)





Non a caso, tra i pilastri della dieta mediterranea, universalmente considerata tra le più salutari in ambito scientifico, ci sono proprio alimenti di elevata qualità del mondo vegetale (ampia varietà di cereali, anche non raffinati industrialmente, legumi, verdure ed olio di oliva extravergine).





A queste raccomandazioni, vanno aggiunte una limitazione del consumo di carni, anche conservate, di bevande zuccherate e di alcool. La supplementazione orale con integratori alimentari, in assenza di accertate carenze specifiche, non ha alcuna evidenza di efficacia. (https://www.wcrf.org/dietandcancer/cancer-prevention-recommendations)





Tutte queste indicazioni hanno pari efficacia sia nella prevenzione primaria di un buon numero di tumori solidi, incluso quello mammario, sia nella prevenzione delle sue recidive, e pertanto dovrebbero far parte del bagaglio culturale che un oncologo fornisce alla paziente in un approccio sistemico al problema per cui si affida alle nostre cure.





Mi sia consentito anche un breve cenno all’importanza della territorialità e della stagionalità, non soltanto perché questo contribuisce alla salvaguardia dell’ambiente ed alla qualità del prodotto, ma anche della sua “vitalità”. In altri termini, sappiamo bene che un prodotto vegetale, ad esempio con proprietà vitaminiche antiossidanti, perde progressivamente (ed abbastanza rapidamente) tali proprietà man mano che ci si allontana temporalmente dall’epoca della sua raccolta. Per tale motivo, consumare un prodotto a breve distanza di tempo dal raccolto equivale a procurare un vantaggio di salute all’individuo, oltre che una maggiore genuinità e piacevolezza.





Ho più volte riflettuto sul perché mi appassioni tanto discutere di comportamenti e stili di vita con le pazienti che trattiamo per un tumore del seno, e come questo mio interesse si coniughi con la mia attività di chirurgo. La risposta che mi sono dato è che la chirurgia, insieme agli altri necessari trattamenti propriamente oncologici, sembra porre rimedio ad un problema che attiene al passato di quella donna. L’analisi delle sue abitudini e di come migliorarle nella quotidianità ha a che fare con il presente e soprattutto con il suo futuro, ovvero dà una maggiore prospettiva di speranza e di cambiamento positivo.





In conclusione, perché le nostre cure siano davvero centrate sulla persona e non sulla sua malattia, anche la più destabilizzante come può essere il cancro, è oggi necessario inquadrare la patologia secondo le più moderne ed aggiornate evidenze scientifiche, ma allo stesso tempo anche la persona, con le sue abitudini, preferenze ed aspettative. Solo così potremo garantire a quella persona un trattamento che la aiuti ad attraversare l’esperienza traumatica di malattia e dei suoi trattamenti, dandole maggiori possibilità di guarigione, ma anche gli strumenti per una rimodulazione favorevole del suo futuro.





di Stefano Magno



Moondo
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