“I due Papi” di Fernando Meirelles, regista brasiliano
Oggi per la prima volta, nella storia dell’umanità, chi è libero nel pensiero (nel senso che non si lascia condizionare da Verità scritte con l’iniziale maiuscola da uomini di Fede religiosa o da Maestri Filosofi che si ritengono in possesso di formule “salvifiche” per l’umanità) può anche comunicarlo agli altri, senza passare attraverso le “forche caudine” di un giudizio altrui. Può scrivere su un giornale on line, su Facebook, su un blog o fare film in digitale e trasmetterlo su Netflix o altre sigle dello stesso genere, senza passare attraverso “codine” società di distribuzione nelle sale cinematografiche o bigotte “censure” di Stati retrogradi.
E’ solo grazie a tale nuovo sistema di comunicazione delle immagini animate sonore che gli Italiani possono guardare sullo schermo televisivo (che ormai non è più necessariamente “piccolo”) un capolavoro come “I due Papi” di Fernando Meirelles, che dichiara espressamente di raccontare “una storia vera” con grandi inserti “documentaristici” e con l’interpretazione magistrale e stupefacente di due mostri sacri del cinema anglosassone come Jonhathan Price e Anthony Hopkins, il primo nelle vesti di Papa Francesco (Bergoglio) e il secondo in quelle di Benedetto XVI (Ratzinger).
Va detto subito che il racconto è “laico” ma che il regista e lo sceneggiatore, Anthony McCarten (che è anche l’autore di una precedente piece teatrale “The Pope”) non spingono mai sino in fondo il pedale dell’approfondimento logico e razionale dei fatti narrati (cosa che io vi prometto di fare). Ed è bene che sia così perché il racconto raggiunge certamente una platea più vasta di spettatori (rispetto ai lettori, che condivideranno le mie osservazioni).
Dunque, la storia racconta dell’incontro dei due Papi (Ratzinger e Bergoglio), delle successive dimissioni del primo e dell’elezione a Pontefice del secondo: il tutto in una cornice di immagini di straordinaria bellezza visiva e opulenza scenografica (Castel Gandolfo, Roma, Reggia di Caserta, Cappella Sistina e via dicendo). In soldoni, il film è il racconto di due “perdoni” cattolici incrociati, spogliati della loro connotazione religiosa e ricondotti all’umanissima e laica comprensione delle debolezze altrui.
Non v’è, in altre parole, l’altezzosa concessione in nome di un Dio, creduto esistente, di un “via libera” per varcare le porte del Paradiso, ma la benevola e comprensiva accettazione di un “errore”, sempre possibile in un essere umano, anche se circondato da orpelli e gratificazioni pontificali. Al momento delle prime immagini dell’incontro, lo spettatore si trova innanzi a un Ratzinger qualificato dai suoi avversari come “nazista” e accusato di essere troppo indulgente con gay e pedofili e a un Bergoglio, certamente eterosessuale, amante di donne e del tango argentino, osannato come poteva esserlo un leader comunista del bolscevismo dei tempi d’oro: cuore aperto e sanguinante; buonismo umanitario; avversione alle banche (senza nessun accenno allo IOR) considerate “affamatrici” delle persone povere e “insaziabili” nel loro desiderio di ricchezze sempre maggiori; contrarietà ai muri e propensione per i ponti e così via, proseguendo nelle giaculatorie di tutti gli “altruisti” così diffusi, secondo la gauche, nel genere umano.
Poi, però, si scopre che il filo-comunista Bergoglio è stato anche filo-fascista, con qualche “peccatuccio” sulla coscienza ai tempi della dittatura militare (come ad esempio la “sconsacrazione” ufficiale e conclamata dei suoi colleghi “gesuiti” e il massacro di molti di loro da parte dei feroci miliziani del regime). Naturalmente, il film si conclude con l’happy end che già di per sé ogni regista (non ammalato di masochismo artistico) si augura sempre di poter “firmare” per le sue opere, ma che nel caso specifico risponde alla pura e semplice realtà: I due Papi si sono abbondantemente perdonati (pure ascoltando ormai flebilmente, per loro stessa ammissione, la voce del Signore) e di comune, idilliaco accordo sono andati a fare l’uno il Papa Emerito e l’altro il Pontefice, amante di Lampedusa, co-governante dello Stato Italiano (nave senza nocchiero in gran tempesta) e probabile fautore di un ponte (…non sullo stretto di Messina ma) esteso dalle italiche coste fino all’Africa Settentrionale.
Fin qui il film che, giova ripeterlo, è un autentico capolavoro per regia, dialoghi, recitazione, ambientazione, commento musicale e quant’altro e va visto da chi non abbia idiosincrasie per il digitale e, invece, amore sviscerato per i mezzi di comunicazione tradizionali (l’elegiaco cinema nelle sale!). D’ora innanzi: il mio commento politico. Esso non ha nulla a che vedere con la grande maestria di Meirelles, di McCarten, di Anthony Hopkins e di Jonhnatan Price ma solo con la mia “fatica” (si fa per dire, perché io a scrivere mi diverto molto) “ELOGIO DEL PENSIERO LIBERO, (ora in libreria e on line).
Il regista, anche se in modo non palese, sembra volerci meravigliare raccontandoci che il filo-comunista (in Italia) Jorge Bergoglio sia stato filo-fascista (in Argentina). E’ chiaro, invece, che la cosa non è affatto sorprendente: il dialogo tra gli “assolutismi” è la cosa più naturale di questo nostro mondo. Se si è assolutisti, religiosi o filosofici non fa differenza, il colloquio diventa difficile soltanto con i “relativisti”. Sono questi a essere definiti dai detentori di asserite Verità degli insopportabili “cacadubbi”, dei disprezzabili “nichilisti” e chi più ne ha ne metta.
Se così non fosse come si potrebbe spiegare che l’Italia tutta (o quasi) “clerico-fascista con Mussolini divenne nel corso di una sola notte tutta (o quasi) “catto-comunista”, con De Gasperi e Togliatti?
Inoltre, vi sono cose che il film non dice e forse non poteva dire perché l’esito dell’azione dell’attuale Pontefice non è ancora noto. Se il Papa ritiene veramente che le Banche (lo ha detto veramente? Il film dice di sì) siano oggi i più odiosi tra i ricchi e che essi non possano entrare in Paradiso, essendo più facile che un cammello passi attraverso la cruna di un ago, perché si dovrebbe favorire la politica di Wall Street e della City che vuole imprese claudicanti (e non prospere come quelle di Bill Gates, Steve Jobs, Mark Zuckerberg e altre del digitale), bisognose di “nuovi schiavi” per pagare i ratei dei mutui contratti con Istituti di credito? Non hanno, piuttosto, ragione gli avversari di tale politica, capeggiati da Donald Trump e Boris Johnson?
Inoltre: che la Chiesa annoveri tra le file dei suoi servi un minor numero di pedofili è certamente un bene, soprattutto se indurrà le gerarchie ecclesiastiche a rivedere l’innaturale idea di “castità” e l’imposizione del “celibato clericale” ma non sarebbe anche il caso di rivedere le faccende dello IOR senza i pannicelli caldi dei Comitati di sorveglianza che lasciano sempre il tempo che trovano?
Non chiediamo un altro film a Meirelles: quello che ha girato va bene così. Ma qualche riflessione agli uomini di buona volontà: SI.
Moondo
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