Lo sai che i papaveri li ho visti a Pontida

In una sua Bustina di Minerva di molti anni addietro, dell’altro secolo… ("L'Espresso", 1°/09/1991) Umberto Eco accennò a un possibile gioco da farsi partendo da "frasi fatte", modi di dire, proverbi o anche famosi incipit letterari.





Il gioco consisteva – ed Eco riempì l'intera pagina di esempi suoi e di suoi interlocutori – nello spezzare in due una serie di proposizioni di uso corrente, rimescolando a caso le parti ottenute per ricavarne altre.





Spesse volte il risultato è esilarante, qualche volta può addirittura condurre ad espressioni dotate di un fortunato e imprevedibile significato: «Gallina vecchia, onor di capitano», «Chi ha denti ha l'oro in bocca», «Una paura lava l'altra», «Fresca e chiara è notte e il capitàno», «Lo sai che i papaveri li ho visti a Pontida».





Il meccanismo non era nuovo; qualcosa del genere, ad esempio, già si doveva a Marcel Bénabou, autore del saggio Un aphorisme peut en cacher un autre (La Bibliothèque Oulipienne, n° 13, Ramsay, Parigi, 1987).





Il punto di partenza della "bustina" era rappresentato dalle "frasi fatte", da questo vezzo al quale il gioco proposto tentava di reagire, in sintonia con una richiesta esigenza di creatività linguistica. L'invito di Eco era chiaro: «Se son fatte disfàtele!» ed era rivolto a scrittori, studenti, giornalisti, politici, accademici, ai quali l'esercizio sarebbe potuto risultare utilissimo.





L'enigmistica, invece, si nutre molto di "frasi fatte" che vanno frantumate, sconvolte, spezzettate in vari frammenti letterali alla ricerca di un rinnovato significato. Negli schemi di giochi a enigmi collegati, ad esempio, l'adozione di una locuzione corrente, di una frase di uso comune, conferisce alla combinazione maggior pregio; lo stesso accade per la «crittografia mnemonica» per la quale una soluzione-frase fatta rappresenta un motivo in più per apprezzare il magico dissolversi di un significato in un altro. In altre occasioni, però, queste "frasi fatte" vengono davvero ben disfatte e nel modo più distruttivo possibile, basti pensare al meccanismo dell'anagramma:





capra e cavoli             =       la poveraccia





carta bianca                =       barca antica





caso fortuito               =       fatto curioso





bella risata                  =       l'abile sarta





amore senile               =       le mani rosee





rosa dei venti              =       visione d'arte





armonia del creato    =       paladini d'amore





sapore dolciastro        =       strada pericolosa





La frantumazione può anche essere meno sconvolgente; è il caso della «incastro» e dell’«intarsio»





prima rosa      =       prosa / rima





Prima ROSA





sciarpa di lana =       spadina / ciarla





SciarPA DI laNA





La "frase fatta" può ancora, più semplicemente, essere "spezzettata"; è ciò che avviene nella «frase doppia» o nella «frase a sciarada»





tribune gremitissime          =          tribù negre mitissime





la mente labile            =       lamentela / bile.





La proposizione, infine, può essere soltanto "riletta" per ricavarne elementi di tutt'altro significato:





articoli letti           =             articoli/letti





Un altro uso di "frasi fatte" si verifica nel caso delle "crittografie" e dei "giochi illustrati" laddove, a una prima lettura affetta generalmente da una successione di cesure, ne segue una seconda (la soluzione) che, quando si tratti appunto di "frase fatta", conferisce al gioco un sicuro pregio. È chiaro che mai come in questi casi l'autore del gioco ne rappresenta il primo solutore e certamente l'invenzione ha seguìto una strada diversa: partendo dalla "frase fatta" se ne è scovata la possibile chiave di prima lettura. Quando da una bella frase càpiti di ritrovare un’accettabile chiave risolutiva, allora il gioco è fatto e il risultato è un sicuro elemento di gradimento.





A volte l’esito è clamoroso e ci si meraviglia che il "prodotto" sia nuovo, tanta è la correntezza della frase. C'è chi ha pensato di definire scherzosamente tali combinazioni: "di fortuna", attribuendo all'autore una notevole dose di buona sorte per aver scoperto l'esistenza di una convincente chiave collegata a un totale di uso corrente: così accadde per quell’ormai classico Sodoma e Gomorra del pesarese Leone Pantaleoni. (S, o doma ES, o morrà).





Si verifica lo stesso per questa «crittografia illustrata» (6,1; 8,7 = frase: 10,12) del napoletano Luigi Noto.





Rebus frate




e ancora per quest’altra di Enrico Parodi (2,5,5,3,4 = frase: 8,1,3,7).





Rebus compleanno

Li si lascia entrambi da spiegare rinviando le soluzioni alla prossima volta.



Moondo
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