Vita in campagna
La terra e i casolari sono stati abbandonati. La civiltà dei consumi
ha invitato i contadini in città abbagliandoli con il miraggio di una vita più facile, al riparo dalla pioggia e dal vento, con la promessa di uno stipendio sicuro e i figli proiettati verso l’università. Sradicati, si sono messi in cammino con le poche cose, ricchi di speranza per un futuro sì incerto, ma migliore. L’Italia rurale è scomparsa
portandosi dietro i suoi valori tradizionali: la famiglia, la fede, il risparmio, la sobrietà dei costumi.
I più fortunati sono ritornati alle proprie terre acquistandole,
ristrutturando la casa o costruendone un’altra con il frutto dei risparmi
di una vita. Hanno mantenuto intatto il rapporto con la terra, coltivandola
e trascinando in città, dopo un fine settimana di sana fatica e lavoro,
chili di fresche verdure dai sapori genuini e dai colori autentici. Sto parlando ancora una volta di Alberto. Non ama restarsene per ore al sole, non ama la vita di spiaggia e quella delle chiacchiere oziose al bar del paese.
Ama i prodotti della terra fra le mani, con la semina di alcuni, con le piantine da interrare, concimare. Niente lo fa più felice del suo orto che, settimana dopo settimana, lo fa assistere allo spuntare di microscopiche piantine, di rigogliose piante pregne di frutti colorati e con un sapore che in città si rischia di dimenticare. Per me, ogni volta che torniamo in città, un trasloco. Con il frigorifero a volte insufficiente a contenere i beni preziosi. A volte da regalare. Alla figlioletta sua adorata. Ai miei genitori. A mia sorella. Un traffico. Una volta esaurito si ricomincia.
E come tutte le mogli, un po’ brontolone, un po’ rompiscatole, mi avvio
di nuovo felice verso la campagna con quel compagno che sa donarmi
con amore e con piacere il frutto di una vita sana e all’aria aperta con
l’aggiunta di tanti prodotti della terra dal sapore, colore, odore rimasti
intatti nel tempo. Non è andata perduta neppure la saggezza e l’umanità
del mondo contadino.
La città ha finito per snaturare e togliere personalità agli individui
regalando loro sì la sicurezza economica, ma togliendo la sicurezza che
basava il vivere sull’alternarsi delle stagioni, sul buono o cattivo tempo,
sulla luna e sugli animali.
Ritorniamo alla terra, ai campi, ai filari, al puzzo delle stalle, all’odore del formaggio, ai casolari sperduti con le aie pronte ad accogliere una tavola improvvisata ricoperta da più tovaglie a quadretti, a fiori e frutta sulle quali poggiare intatta nel tempo la civiltà della tavola contadina. Una tavola intelligente e piena di fantasia, con la
sua storia tramandata, arricchita, a volte alleggerita da quello che passa
il convento. I contadini allora vivevano di quello che seminavano, della
caccia e della pesca.
Oggi vivono con molto di più. Chi è rimasto a vivere in campagna, guarda con invidia chi viene dalla città con un ventisette del mese assicurato. Non è consapevole della fortuna che gli è capitata. Ha trasformato il suo lavoro e la sua casa in agriturismo, produce verdure da vendere nei mercati, si dedica alla produzione di latte e formaggio. È diventato contadino imprenditore. È un ritorno alla madre terra
con un bagaglio arricchito di cultura, di anni di studio alle spalle.
Quando penso alla vita della campagna i ricordi si affacciano, il
duro lavoro del contadino riappare, laddove i diserbanti e gli elementi
inquinanti non esistono e il piacere di una tavola genuina è sui piatti di
tutti i giorni. È vivere a contatto con la natura, risvegliarsi al profumo
della terra, piante, fiori, del gallo che canta e delle galline che hanno
appena fatto l’uovo. È distacco dalla vita frenetica e stressante di tutti i
giorni. È ritrovare il fanciullo che c’è in noi, togliergli quanto è stato
aggiunto, riportarlo alla quiete delle sue origini. Equilibrio. Parola magica
che tutti noi affannosamente ricerchiamo. Di affetti, lavoro, amicizia.
Tutto si riequilibra in una sola parola: salute. Solo la persona sana non dà da spazio a frustrazioni, sofferenza, angoscia, non le trasferisce sulle persone che quotidianamente incontra. Vive con la parte più intima di sé e va per il mondo senza affanni e piena di vitalità.
Mangiare bene è vivere bene. Nutrirsi in modo sano e di energie
dei prodotti genuini, vuol dire non cibarsi di cose morte, ma di prodotti
che trasmettono intatta la loro vitalità, perché freschi, perché cresciuti in
un ecosistema ambientale favorevole, perché cucinati da persone che
amano il proprio lavoro, dove sofisticazioni, adulterazioni, deperimento
sono termini sconosciuti. Dove il sole e la luna hanno mantenuto intatto
il valore che il Padre Eterno ha affidato loro.
È crescente l’interesse per un’alimentazione sana ed equilibrata,
per i prodotti tipici e locali ai quali si aggiungono la voglia e il desiderio
di ritornare alle origini per ritrovare la propria identità culturale, per
condurla verso un nuovo rapporto tra l’uomo e la natura. Rapporto incrinato
dai consumi di massa ai quali siamo stati sottoposti negli ultimi cinquant’anni,
presi dal consumismo imperante che ha finito per mettere in
penombra parole come individualità e particolarità. Un nuovo rapporto
che metta in conto l’esigenza salutistica, impegnata nella riscoperta del
proprio corpo alla ricerca dei segnali, a volte impercettibili, che ci trasmette
e di abitudini alimentari riviste sulla base di studi nutrizionali e
dietetici in continua evoluzione.
Per ricostruire il livello energetico ottimale occorre un ambiente
ecologicamente sano, dove la convivialità si sposi con il contatto nutritivo
della grande madre terra, vivendo una vera e propria relazione con il
fabbricato, la campagna circostante, gli alberi, i prodotti della terra da
portare in tavola sì trasformati, ma non snaturati. Etica intesa come
armonia con l’ambiente e con l’universo, con il luogo, con il fabbricato,
le persone, la cucina.
Oggi la donna che lavora dedica poco tempo alla cucina, si limita
a pranzi veloci e i manicaretti sono lasciati ai pochi momenti liberi. Ha
paura di ingrassare, il che la costringe a diete diaboliche, dove i grassi
non sa più che cosa siano sostituiti da cibi sconditi e senza sapore alcuno.
Dal focolare, alla cucina economica, ai forni elettrici a gas o metano,
a raggi infrarossi, a microonde, per non parlare dei cibi congelati, della
pentola a pressione, dell’influenza della cucina internazionale che ha finito
per snaturare la nostra gustosissima, variegata cucina italiana.
Insomma, negli ultimi cinquant’anni, un tourbillon di innovazioni e
novità ha reso la nostra tavola diversa.
Siamo passati dal negozio del pizzicarolo, dove trovavi di tutto,
dalla pasta alla verdura, dal lardo alla mortadella, al pane, ai biscotti, ad
una diversificazione di prodotti offerti da negozi sempre più lussuosi nei quali puoi trovare ogni cosa, esposta in modo da stuzzicare l’appetito e la vista, con alle spalle vere e proprie catene di montaggio, ad esempio, per scegliere, lavare e incellofanare l’insalata.
Per non parlare delle macellerie dove puoi entrare e tornare a casa
con dei piatti già pronti per essere cucinati. Si trova di tutto. Oltre alla
carne spezzata e messa in bella mostra puoi acquistare pollo disossato e
ripieno, polpette, zucchine ripiene, cotolette già impanate o uno sfilatino
di pane con della carne dentro già insaporita e pronta da mettere in forno.
Per contro sono sempre di meno i romani che vanno in rovina pur
di mangiare bene, come accadeva nei tempi andati.
Si mangia davanti alla tv, ognuno immerso nei propri pensieri e
nelle proprie considerazioni. Al più si fanno commenti provocatori, che
sempre meno attendono e ricevono risposte. Sono finite le belle chiacchiere
di una volta, tutti seduti intorno al lungo tavolo della grande cucina,
a dividere un piatto di polenta, ma anche a condividere le preoccupazioni
per il raccolto, le piccole grandi gioie come i dolori legati agli
avvenimenti che tenevano unita la piccola, grande comunità.
Sempre più si consumano i pasti fuori casa, un panino mangiato
voracemente e velocemente al bar o alla tavola calda. I ragazzi ingurgitano
patatine fritte, pizza e merendine annaffiate di bibite gassate. Quando
va bene c’è un hamburger con sopra della salsa. I momenti conviviali
sono andati via via affievolendosi o si sono ridotti all’osso.
Bisogna recuperare una corretta alimentazione, prestare attenzione a quello che si mette sotto i denti, ma anche riconquistare uno stile di vita per consentire il mantenimento della salute che si ottiene variando e abbinando i diversi alimenti, conoscendoli e valorizzandoli, imparando a fare la spesa, a leggere le etichette dei vari prodotti, a non farsi ingannare dalla pubblicità.
Non bisogna disperdere il patrimonio familiare, vanno recuperate
le ricette un tempo tramandate da madre in figlia, oggi, a volte, dimenticate
o variate dagli intrugli della cucina internazionale. La cucina è
soprattutto momento sensoriale, un’esperienza che implica il collegamento
tra cibo e manualità dei gesti. Un piatto fatto con gli ingredienti
giusti, abbinati sapientemente, con l’aggiunta d’amore e dedizione verso
i propri ospiti può solo risultare un piatto gradevole e digeribile. Frutti
di mare, in testa le ostriche, il peperoncino, la rughetta, i grassi di maiale,
il sedano, il pecorino romano e un buon vino bianco secco fanno scorgere
rapporti particolarmente peccaminosi. L’importante è non mangiare
come porcelli. Si rischia di cadere addormentati senza possibilità di
scampo. Altro che rapporti peccaminosi! Sonno pesante, rumori insopportabili, alito tremendo e chi più ne ha più ne metta. Moderazione ci vuole! Come, del resto, in cucina non vanno molto d’accordo fretta ed economia.
Avvicinarsi sempre più ad un’agricoltura biologica che si muove
salvaguardando prodotti e ambiente non snaturati dall’uso di sostanze
chimiche come concimi, diserbanti, anticrittogamici, insetticidi, ma curati
con grande attenzione e controllati da organismi che hanno l’autorizzazione
dello stato e che si muovono nel rispetto di determinate regole.
Moondo
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