Cosa può piacere e cosa non può piacere a un elettore moderato-progressista di ciò che la cucina della politica italiana sta per servire a tavola?
E’ tarda sera di lunedì 26 agosto. C’è chi ha seguito un po’
in tv l’andamento della crisi. C’è chi si è limitato a qualche notizia
frammentata emersa anche sui cellulari. C’è chi si è fatto qualche domanda su
questa fase cruciale e forse finale dell’agosto politicamente rovente che ha
trasformato il vincente Salvini in uno sconfitto, il declinante Di Maio nel
principale soggetto con diritto di proposta, l’oppositore senza speranza
Zingaretti nell’ago della bilancia del sistema, l’ex-numero uno della politica italiana Renzi
tornare in campo facendo il “ritmo” ma
accettando di passar sopra a
molte dichiarazioni irreversibili diventate reversibilissime.
Ecco, proviamo a metterci nei panni di un elettore
o di un’elettrice che - per età, voto
precedente, delusioni e attese, paure e speranze – ha capito che la dinamica
politica arriva a un punto in cui ti fa capire che le scelte che fa ti
riguardano, personalmente. Questa constatazione provoca brividi, ma provoca anche spinte ad
interessarsi, almeno a cercar di capire. Elettore od elettrice diciamo non
collocati nell’estremismo ideologico, tendenzialmente non di piazza, con
qualcosina da difendere e qualcosina da migliorare.
Ecco, verso questa mezzanotte arrivano alle orecchie di questo italiano/a stupito, stressato, moderatamente ansioso per gli eventi in corso, notizie non definitive, ma tendenziali. Il governo rossogiallo non è varato, ma potrebbe farsi. L’impensabile – per la seconda volta in questa legislatura – sta per accadere. Al colmo delle sorprese, l’ex-premier scoperto di recente per la prima volta (ma sonoramente) nella sua vena di fustigatore, avendo osato una posta molto alta coperta dal nobile proposito di tornare a casa, sta per vincere il banco a condizione di fare una cosa ormai per lui stesso plausibile: abbandonare ogni terzietà e schierarsi.
Insomma Giuseppe Conte – addobbato con la sua
sobria pochette, per raccontare la sua diversità dalle felpe di Salvini e dai
distintivi di latta dei leghisti – potrebbe approfittare dei due giorni
concessi con larghezza dal presidente Mattarella per il secondo giro di
consultazioni per ritornare al primo piano di Palazzo Chigi e spostare a
sinistra l’asse del governo. Scrivendo così la pagina tralasciata nella sua
dura comunicazione al Senato: derubricare, perché sbagliati, alcuni
provvedimenti del suo stesso precedente governo difeso dall’inizio alla fine
scaricando (in modo un po’ improbabile) sulle sole nequizie di Salvini gli
ostacoli e le difficoltà a continuare. Nel giro delle consultazioni di martedì
e mercoledì il Capo dello Stato non ascolterà gli aggettivi ma i numeri. I
numeri cioè dei parlamentari disposti a dare la maggioranza a ciò che
Zingaretti avrebbe voluto che fosse “un
governo di svolta”, dovendosi accontentare – se il governo sarà varato – di
“un governo di rettifica”.
Ma torniamo nei panni dell’elettore medio di centro-sinistra ovvero di sinistra-centro, ovvero anche di centro-destra in generale con libertà di
opinione e di scelta rispetto a vincoli di appartenenza e di partito.
Domanda: come questa sera – diciamo domani mattina
- proverà a distinguere nei suoi
sentimenti provocati dai fatti in corso ciò che potrebbe piacergli da ciò che
potrebbe non piacergli?
Potrebbe
piacere:
- il fatto che Salvini, messo veramente fuori
dalla “sala macchine”, perderà la legittimazione a fare una continua campagna
elettorale nei panni da ministro dell’Interno e indossando le felpe della
Polizia di Stato; - il fatto che l’assurda e disumana politica sugli
ormai piccoli numeri di migranti che arrivano in Italia rispetto ai 300 milioni
di migranti annui che flottano a livello planetario, lascerà il posto a una
politica di “gestione “ (né buonista né persecutoria) del fenomeno migratorio; - il fatto che togliendo di mezzo il convincimento
scritto dalla stampa di tutta Europa che “Salvini
è un pericolo per l’Europa”, il nostro rapporto con il sistema principale
delle regole di cui siamo soci fondatori diventerebbe più flessibile; - il fatto che le “autonomie” regionali non si
fanno per i territori in cui c’è “più convenienza”, ma come regola equilibrata
di un progetto nazionale e verificato in senso europeo di autonomismo e
federalismo; - il fatto che sulla scuola si faranno meno
speculazioni e forse più investimenti; - il fatto che il maggior partito oggi di
opposizione (il PD) che ha al suo interno una classe dirigente anche
territorialmente più sperimentata, rimetta questa energia responsabile al
servizio degli interessi generali smettendo di dividersi e di occuparsi solo di
se stesso; - il fatto che almeno con pari enfasi “ideale”
della formazione impossibile del governo gialloverde anche qui si fa un
riferimento al “dovere morale”, al “senso di responsabilità”, alla “riduzione
degli interessi di parte”, per non incendiare l’Italia con il voto adesso ma
per rimettere Società e Stato in
carreggiata.
Potrebbe non
piacere:
- il fatto che Salvini lasciato libero di
cavalcare l’onda polemica che il sistema produttivo del nord prevedibilmente
scaricherà su questo governo (che sarà giudicato “di sinistra” e che faticherà
a trovare sintesi a favore della crescita e dello sviluppo) tenderà a spaccare di
nuovo il paese in due e potrebbe portare la Lega a far crescere i consensi; - il fatto che, subendo finora sia il PD che M5S
una pressione popolare anti-migratoria, il progetto di politiche di gestione
dei fenomeni potrebbe rivelarsi più ambiguo che innovatore; - il fatto che alla fine in materia di conti
pubblici non la spunteranno i difensori della riduzione del debito ma la
gestione a breve di un incremento del deficit (argomento su cui sarà Renzi –
che lo dice - a tirare la volata), cosa che in Europa ci manterrà nel solito
quadro di critiche; - il fatto che non riuscendo a trovare un vero
equilibrio di politiche compensative tra nord e sud è vero che l’autonomia
differenziata non farà strada, ma non farà nemmeno strada un progetto concreto
e realistico di federalismo; - il fatto che l’inversione di tendenza nel campo
della scuola appartiene ad uno dei pilastri del riformismo e dunque al rapporto
tra incidenza delle regole rispetto ad un tempo di metabolizzazione dei
cambiamenti necessari; sarà proprio il tempo limitato di azione (in fondo per
fatti come quelli or ora descritti) a togliere benzina alle pur dichiarate
buone volontà; - il fatto che la spinta a “pensare Paese”
crescerà nel PD, ma appaiono visibili elementi di crescita anche delle ragioni
a sviluppare nuove divisioni se non addirittura nuove scissioni; - il fatto che dovere
morale e senso di responsabilità
– che ci stanno – potrebbero non riuscire a venire a capo della quantità, che
emerge più tra chi è dentro le cose che tra la gente, di interessi di parte, causa l’epoca stessa che viviamo in cui gli
interessi generali sono più evocati che perseguiti.
L’elettore si farà molte altre domande
(allargamento dell’alleanza ora a due, possibilità di un grande piano per la
sostenibilità ambientale, scelte strategiche per le politiche di innovazione,
nuovi indirizzi in materia di difesa dai monopoli planetari della comunicazione
digitale, eccetera) ma esse si porranno solo quando sarà presentato il
programma. E magari alcune di queste domande troveranno qualche risposta ben
confezionata. C’è sinceramente da augurarselo per l’Italia. In più la
contraddizione paventata per i sette punti citati (sette, si ripete, tra i
molti possibili) potrebbe essere meno implacabile, meno paralizzante di come
appare seguendo due filiere di pensiero che sentiamo oggi davvero contrapposte nella
gente, nei commenti, nella rete.
Ascoltando
la discussione – addetti ai lavori ma anche elettori che utilizzano la rete per
alimentare il dibattito pubblico – si
coglie insomma che gli argomenti con cui viene sostenuto il favore ma anche
segnalata la contrarietà al governo “giallorosso” (in sala parto, ma ancora non
nato) sono spesso come la stessa medaglia con facce uguali e diverse. Le
previsioni sulle criticità generali della politica, dei partiti e del paese
sono in campo più degli “effetti speciali” della comunicazione dei
protagonisti, impigliati nel braccio di ferro.
Dipenderà dalla scelta finale dei ministri, dalla
regia dell’agenda di governo (tra i ministri di peso evidentemente il nome del
sottosegretario alla PCM) e dalla creatività programmatica che – per dirla con
le prime avvisaglie – è tale se si muove nella logica almeno opposta a quella
del nullo decalogo letto da Di Maio in avviamento di negoziati.
Moondo
https://moondo.info/cosa-puo-piacere-e-cosa-non-puo-piacere-a-un-elettore-moderato-progressista-di-cio-che-la-cucina-della-politica-italiana-sta-per-servire-a-tavola/
Commenti
Posta un commento