Violenza contro le donne 2.0

In un immaginario disattento o indifferente a quanto accade nel mondo, il 25 novembre può apparire come un giorno qualsiasi del calendario.
Questa data invece riveste un forte significato simbolico.
Istituita diversi decenni fa dalle Nazioni Unite per invitare i governi, le organizzazioni internazionali e le ONG a organizzare attività volte a sensibilizzare l'opinione pubblica su “una delle più devastanti violazioni dei diritti umani,” ovvero la violenza contro le donne, assume in questo primo scorcio di secolo il senso di una chiamata alla responsabilità collettiva da cui non ci si può e non ci si deve sottrarre.
L’oggi vissuto e in movimento, il futuro che si sta immaginando e costruendo, non consentono il permanere di questo tragico fenomeno né tantomeno di sottovalutarlo come avviene con l’uso di un giustificazionismo processuale e mediatico che spesso si appella all’”alibi”delle culture originarie, delle appartenenze sociali e religiose.





Trovare strumenti necessari per debellare la violenza di genere risponde anche al richiamo fatto recentemente dal Presidente del Consiglio Mario Draghi, il quale ha auspicato “Il perseguimento di un riscatto civico e morale”e indicato come missione per gli italiani quella di “consegnare un Paese migliore e più giusto ai figli e ai nipoti”. Un segnale che non è da intendersi legato e limitato solo alle questioni economiche ed ambientali ma anche alle coscienze individuali e collettive.





Gli scenari futuri, ancora non del tutto definiti ma a cui saremo chiamati a partecipare, le sfide complessive che dunque attendono la società, saranno frutto dell’insieme di capacità, di conoscenza e di forza finalizzate alla realizzazione di un progetto d’interesse comune.
In questa visione, che deve integrare le specifiche della complessità, i cambiamenti da attuare dovranno essere interdipendenti e di pari dignità per tutti.
Ambiente, sviluppo sostenibile, economia, immigrazione, lavoro, urbanizzazione, mobilità, salute, famiglia, demografia, formazione, cultura, violenza, legislatura, politica ecc. Ogni voce si congiunge all’altra in modo trasversale.





In questa direzione le donne, che nel tempo hanno sviluppato sul proprio vissuto una forte maturità collettiva, attuano da tempo interventi di sensibilizzazione integrata su tutte le questioni delle quali il problema della violenza di genere non è che un ulteriore, drammatico aspetto.
Coniugando pensiero ed azione, riflessione e stimolo, denuncia e proposta esse hanno svolto e svolgono iniziative e campagne territoriali di sensibilizzazione nelle Istituzioni, nelle scuole e università, nei luoghi del lavoro, della cultura e dell’informazione ma anche per tenere alta la guardia su ciò accade negli altri paesi.





Ciò perché la conservazione di questa oppressione violenta di genere è senza confini e fortemente presente in tutto il mondo dove gli stereotipi e la contrapposizione di genere sono fortemente radicati in culture secolari e religiose, mantenuti da interessi economici e privarti, tramandate dall’ignoranza di tradizioni familiari da cui ogni persona trae insegnamenti comportamentali e formativi.
Ma la cultura “maschilista”è profondamente interiorizzata nella maggior parte degli uomini. Anche in quelli culturalmente più evoluti e progressisti che la negano ma che la praticano.





Pur evitando un approccio ideologico di genere, non si deve considerare il problema della violenza contro le donne come un dato a sé, senza radici storico-culturali-politiche né tantomeno una questione irrisolvibile. Soluzioni politiche per disincentivarla, punirla, prevenirla sono dovere dei governi, dei parlamenti e dei rappresentanti della società civile.





Tanto più che la violenza spesso è innescata da bisogni, dalla prevaricazione del forte contro il debole, da una politica familiare lasciata gestire al privato, da una debole legislazione e della sua scarsa applicazione, da un’insufficiente formazione e informazione.
Nella procedura del mantenimento della vita umana maschile e femminile sono interdipendenti.
La sostanza dei concetti di parità e uguaglianza non riguarda solo le donne ma i soggetti più deboli di ogni società. Proprietà e potere non sono appannaggio esclusivo di alcuni contro altri e il traguardo da raggiungere non può che essere lo stesso.
Più in generale la questione di genere rimarrà invece una “questione” irrisolta fino a che i concetti non si tramuteranno in comportamenti di proprietà comune e condivisa.





Eppure, in documenti scaturiti da importanti consessi internazionali del recente passato, come le grandi Conferenze internazionali delle donne indette dall’ONU, nelle direttive Europee, nei piani d’azione degli stati membri, furono sottoscritti importanti impegni per arrivare a mettere in atto politiche appropriate al fine del raggiungimento dell’uguaglianza e della parità di genere. La dead line di questo lungo percorso era quella del 2000.





Si deve prendere atto che il futuro di allora, che è l’oggi, non ha raggiunto il traguardo fissato e che oggi, anno 2021, l’elenco delle questioni su cui è necessario prendere provvedimenti sono ancora molte di quelle di allora ed altre sono subentrate.





D’altra parte ciò che è accaduto nel 2020, con la pandemia, ha mostrato l’impreparazione dei sistemi. La data del 2030 (ma già si comincia a parlare del 2050) proposta per il raggiungimento di interventi mirati che concorrano a migliorare la qualità della vita per tutti non attenua le preoccupazioni.
Inoltre, con lo sviluppo della tecnologia, sono prevedibili ulteriori cambiamenti negli stili di vita.





La trasformazione delle città, la demografia, l’ambiente urbano ed agricolo, la mobilità, l’alimentazione, il lavoro, la formazione ecc. vengono ipotizzati con formule probabili, possibili, diluite in un tempo che si velocizza automaticamente.
Tra la definizione e la realizzazione di un progetto, passa un tempo indefinito ed esso può essere breve, medio, semilungo, lungo o lunghissimo.





In quel frattempo la società si muove necessariamente utilizzando gli strumenti che ha a disposizione e che ha conosciuto. La cultura per modificarsi ha forse bisogno di tempi non del tutto prevedibili. E se nel piano nazionale d’intervento del Governo italiano, 2021-2026, è stato inserito un documento programmatico che “affronta in modo specifico le principali dimensioni legate al riequilibrio di genere, focalizzando l’attenzione su cinque priorità strategiche (lavoro, reddito, competenze, tempo e potere) e individuando dieci misure trasversali ritenute abilitanti”, è probabile che non tutto si possa realizzare a breve e con successo.





In questo quadro, le donne continuano a camminare a zig-zag su un campo minato.
Perché, nonostante quanto enunciato nel Piano e la presa in carico del Governo, la donna è percepita in una cultura generalista. La violenza una prova di fragilità.
Vittima di una società cresciuta in una “cultura della violenza”, tollerante, giustificativa, che a volte alimenta un immaginario “cultural maschile e maschilista”, che si avvale di un modello d’uomo forte, aggressivo, autoritario. Atteggiamenti considerati di “natura” e perciò destinati ad essere riconosciuti come tali e tollerati. Frutto per lo più di motivazioni “sentimentali”, familiari, su cui i media indugiano spingendo il bulino nella piaga, quasi a giustificazione dell’atto. Complessivamente il permanere di una mentalità arcaica e patriarcale che mal si coniuga con il cambiamento a cui si mira.





Il 25 novembre 2021 dovremmo interrogarci tutti su dove si voglia arrivare e come.
La conta delle donne ammazzate aumenta. La violenza fisica e psicologica continua ad essere esercitata in ogni luogo. Le denunce delle donne sono disattese. Gli orfani di femminicidio rimangono soli. Le leggi, i codici e la giurisprudenza insufficienti, disattesi o inadeguati.





Le risposte a questi interrogativi richiedono un “approccio integrato” che provveda a mettere in moto strategie e interventi mirati di diversa natura perché l’inasprimento delle pene, pur necessario, da solo non può bastare.





Servono strumenti integrati d’intervento sociale oltre che giuridico.
Esistono sportelli d’ascolto-denuncia, centri di rifugio per donne maltrattate, numeri di pronto intervento ma non tutti sono in grado di svolgere compiutamente questo lavoro per carenze di sostegno economico e di personale specializzato.





Nonostante che, approvando la ratifica della Convenzione di Istanbul in favore di efficaci provvedimenti per la prevenzione e il contrasto del fenomeno, il Parlamento italiano il 15 ottobre 2013 abbia approvato la Legge 119/2013 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, che reca disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere”.
In questo secolo, che sarà il futuro delle nuove generazioni, forse del nuovo mondo, ci si augurerebbe di trasformare il 25 novembre da simbolo e segnale di denuncia in emblema di una vittoria a vantaggio dell’intera comunità e del progresso.



Moondo
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