Intervista a Dario Vero

Per la realizzazione della colonna sonora di The Inglorious Serfs, hai coordinato 88 musicisti diversi, di diverse culture musicali e sparsi in tutto il mondo. Fino a che punto ti ha aiutato il digitale e quanto, invece, ti ha limitato?





Il digitale ci ha messo in condizione di poter ultimare alcune registrazioni che per via del Covid non avremmo potuto realizzare altrimenti. Direi che la direzione a distanza ha solamente cambiato alcuni equilibri, ma senza inficiare su qualità della performance e della registrazione. Direi che sono le modalità, con il digitale, a cambiare, ma non i risultati.





Il risultato è una colonna sonora con tratti orientali, ma anche ripresi dalla tradizione sinfonica orchestrale. Un nuovo genere destinato ad affermarsi?





Non saprei. Potrebbe essere che questo divenga un genere vero e proprio. L’oriente è destinato a crescere sempre di più. Le influenze orientali saranno sempre più forti nei prossimi anni e la musica dovrà rispondere a queste esigenze. Chissà che “The Inglorious Serfs” non sia un precursore!





Hai lavorato con Koto, Erhu e tamburi Taiko uniti a trombe, violini e clarinetti. Quante difficoltà hai incontrato per capire quale strumento fosse più adatto per realizzare ciò che avevi in mente?





Da una parte c’è l’esperienza, acquisita nel tempo. Dall’altra un’infanzia trascorsa in compagnia di film, telefilm e anime giapponesi. I suoni di Koto, Erhu e Taiko ce li ho proprio nel cuore e nella testa. I Taiko li avevo già utilizzati per un altro film, “The Stolen Princess” (si può ascoltare su internet su qualsiasi store digitale), dunque ho una certa familiarità con questa famiglia di percussioni.





Dal punto di vista musicale. In The Inglorious Serfs, quanto c’è della tradizione italiana e quanto invece sfocia nell’innovazione orientale?





Le melodie e i temi sono di stampo italiano e hollywoodiano. Morricone docet. Colori e sfumature sono più legati all’oriente. Le scene con i combattimenti tra ninja e samurai sono epiche; li ho caricato parecchio con il team di musicisti orientali (vedi “Ninja Training”). Nelle parti romantiche, comedy o discorsive l’orchestra classica la fa da padrona. Tutte le parti più dark sono il risultato di un connubio tra orchestra e strumenti giapponesi; ne è un esempio “Evil Eye”.





Grandi collaborazioni internazionali per realizzare un film internazionale. Come ti senti a rappresentare l’Italia in un palcoscenico così importante e ricco di cultura?





Mi sento a casa. È una grande soddisfazione per me. Sento di fare qualcosa di importante nel mio piccolo; aggiungo qualcosa alla narrazione visiva del film. Descrivo sensazioni ed emozioni che non sarebbero fruibili attraverso le immagini pure. Sono uno story teller e il mio mezzo è la musica. E, chiaramente, la connessione tra l’Italia e la musica è fortissima; qui è nata la tradizione colta, con Vivaldi, la musica popolare e poi Nino Rota ed Ennio Morricone e ancora oggi, dentro le accademie, i conservatori e gli auditorium si conserva e si perpetua questa tradizione. Spero che questo messaggio possa arrivare il più lontano possibile. E lascio che sia la mia musica a parlare per me...





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Moondo
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